Apolipoproteina E ε4 nella malattia di Alzheimer
GIOVANNI ROSSI
NOTE
E NOTIZIE - Anno XV – 14 aprile 2018.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di
studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
A causa della prevalenza,
degli effetti limitati dei trattamenti disponibili, dell’impatto sulla vita dei
pazienti, dell’esito invariabilmente infausto e del notevole impegno richiesto
ai prestatori di cure, la malattia di Alzheimer costituisce uno dei più grandi
problemi della medicina contemporanea e una delle maggiori minacce per la
popolazione di età avanzata. Per l’accresciuta aspettativa di vita e lo
sviluppo demografico esplosivo del periodo seguente il secondo conflitto
mondiale, gli anziani costituiscono il segmento in più rapida espansione della
nostra società e, in una realtà prossima alla nostra quale quella degli Stati
Uniti, il numero delle persone affette dalla forma più grave di demenza
degenerativa è triplicata negli ultimi decenni.
Gli studi genetici da tempo
hanno rilevato la responsabilità di mutazioni ereditate, quali quelle nella APP
(amyloid precursor protein) e nelle
preseniline 1 e 2 (PS1 e PS2) per le forme familiari a
trasmissione mendeliana autosomica
dominante. Si è anche accertato che la presenza di certi alleli
dell’apolipoproteina E (ApoE) costituisce un fattore di rischio dose-dipendente
per la forma non familiare della
malattia (ApoE4)[1], mentre
la presenza di altri alleli (ApoE2) è
associata ad un rischio ridotto di sviluppare la neurodegenerazione. Negli anni
recenti sono stati identificati e proposti quali fattori aggiuntivi di rischio numerosi
altri geni, ma è importante ricordare che in circa il 95% dei casi
diagnosticati in Europa e in America la malattia neurodegenerativa non è
familiare (sporadica), e si ritiene
che fattori ambientali, e in generale non genetici, in questi casi abbiano un
importante ruolo eziologico[2].
Studi recenti hanno
identificato ApoE ε4 come il principale fattore di rischio genetico per la
malattia di Alzheimer, ma la stima della sua reale prevalenza è rimasta incerta
o controversa, soprattutto perché i primi studi non richiedevano l’evidenza di biomarker della patologia
β-amiloide. Ora, un estesissimo lavoro multicentrico, al quale hanno
partecipato circa cento ricercatori europei e americani di numerose istituzioni
scientifiche, ha cercato di definire con precisione la prevalenza di ApoE
ε4 in un campione di quasi 3.500 partecipanti.
(Mattsson N., et al., Prevalence
of the apolipoprotein E ε4 allele in Amyloid β positive subjects
across the spectrum of Alzheimer’s disease. Alzheimer’s
& Dementia – The Journal of the Alzheimer’s Association - Epub ahead of
print - doi: 10.1016/j.jalz.2018.02.009, 2018).
Delle 68 indicazioni
di provenienza degli autori si riportano
le seguenti: Clinical Memory Research Unit, Clinical
Sciences Malmo, Lund University, Lund (Svezia); Department
of Neurology and Alzheimer Center, VU University Medical Center, Neuroscience
Campus Amsterdam, Amsterdam (Paesi Bassi); Department of Psychiatry and Neuropsychology,
Alzheimer Center Limburg, Maastricht (Paesi Bassi); Helen Willis Neuroscience Institute, University of
California at Berkeley, California (USA); Department of Nuclear Medicine and
Centre for PET, Austin Health, Melbourne (Australia); Reference Center for
Biological Markers of Dementia (BIODEM), University of Antwerp, Antwerp (Belgio); Neurology of Department, Hospital de Saint Pau,
Barcelona (Spagna); Memory Clinic and LANVIE,
University of Geneva, Geneva (Svizzera); Memory
Clinic and Neurochemistry Laboratory, Saint Luc University Hospital, Institute
of Neuroscience, University Catholique de Louvain,
Brussels (Belgio) […].
Lo studio qui recensito,
condotto da Niklas Mattsson
e colleghi, ha incluso nel campione 3451 soggetti positivi per la β-amiloide,
ossia per i peptidi amiloidogenici di 42 aa
(Aβ+). I volontari sono stati così ripartiti:
1)
853 pazienti affetti da
demenza tipo-Alzheimer;
2)
1810 pazienti diagnosticati di
MCI (mild cognitive impairment);
3)
788 persone cognitivamente
integre e apparentemente prive di altri disturbi.
Per
verificare la prevalenza dell’ApoE
ε4 in rapporto a età, sesso, istruzione e localizzazione geografica, sono
stati impiegati modelli standard (generalized estimating equation models).
I risultati
emersi si possono così sintetizzare: la prevalenza dell’ApoE ε4 negli 853
pazienti affetti da demenza tipo-Alzheimer era del 66%; nei 1810 MCI era 64%;
nei 788 cognitivamente normali era 51%. È interessante notare che nei volontari
privi di disturbi cognitivi e Aβ+, come in quelli affetti da MCI, sempre
Aβ+, la prevalenza si riduceva con l’avanzare dell’età (P < .05), ma
questo non accadeva nei pazienti Aβ+ affetti da demenza tipo Alzheimer (P
= .66). La prevalenza è risultata la più alta nell’Europa del Nord, ma non
variava in base al sesso o al grado di istruzione.
Concludendo,
si può rilevare che la prevalenza dell’ApoE
ε4 nella malattia di Alzheimer, nel lavoro di Mattsson
e colleghi, è risultata notevolmente più alta di quella stimata negli studi
precedenti che non richiedevano il rilievo della presenza della patologia
Aβ. Inoltre, i dati emersi, per il cui dettaglio si rimanda al testo
dell’articolo originale, sottolineano l’eterogeneità della malattia in rapporto
all’età e alla localizzazione geografica.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle numerose recensioni
di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito
(utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
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[1] Convenzionalmente definita “sporadica” ma corrispondente alla stragrande maggioranza dei casi.
[2] Contestualmente, nelle “Notule” di questa settimana (14-04-18), si pubblica uno studio su uno dei fattori di maggior interesse per le forme non familiari (Nella malattia di Alzheimer, attraverso il microRNA-146a, un ruolo del microbioma intestinale).